Viaggio nelle comunità, il centro di Baiano di Spoleto

Circa 20 anni fa era un molino ad acqua abbandonato, rimesso a nuovo dal Cast Assisi Onlus oggi il centro di Baiano a Spoleto rappresenta – per una parte dei propri ospiti – la seconda tappa del percorso terapeutico dopo la fase di accoglienza a Spello. La struttura può ospitare fino a 30 utenti di cui 18 del servizio terapeutico riabilitativo residenziale e 12 del servizio specialistico di comorbilità psichiatrica. Da qualche mese il centro di Baiano è diretto dalla dottoressa Cristina Ciabatta che lavora al Cast dal 1995 ed ha compiuto tutta la trafila da operatrice a responsabile della struttura.

Quante persone lavorano nella struttura di Baiano e come è composta la squadra che si occupa degli ospiti?

“Oltre a me l’equipe multidisciplinare è composta da undici persone. Ci sono quattro psicologi, Alessio Vitali, Massimo Mariani, Eleonora Della Bella e Lucia Alga, tre operatori socio sanitari, Cristina Roselletti, Patrizia Boscolo e Luciano Cristillo, un sociologo che è Sandro Di Marco, due psichiatri Anna Cirronis e Stefano Pierini, una tirocinante psicologa Ilaria.

Baiano ospita la seconda fase del programma di recupero terapeutico. Che cosa avviene qui e quanto dura la permanenza in questa struttura?

“Qui vengono ospitati sia tossicodipendenti che tossicodipendenti con problemi psichiatrici e il percorso dura circa 18 mesi. Lavoriamo in stretta collaborazione con la sede di Strettura che ospita i nuclei familiari e qui solitamente vengono i padri. C’è una prima parte, detta di comunità, che dura 3/4 mesi in base alle caratteristiche dell’utente e alla diagnosi  poi inizia la fase della condivisione con momenti di ergoterapia e colloqui individuali sia con psicologo che con psichiatra. A ogni ragazzo viene poi attribuito un settore di cui si deve occupare – cucina, lavanderia, animali, etc –con diverse mansioni e responsabilità”.

Come è cambiata l’utenza in questi anni?

“Ci sono sempre più casi gravi, l’abuso di sostanze sintetiche sconvolge questi ragazzi e sono sempre di più quelli che arrivano qui con la doppia diagnosi. L’età media si sta abbassando ed è di circa 30 anni”.

Come si svolge la giornata tipo?

“La sveglia è fissata alle 7, alle 7.20 colazione tutti insieme nel salone, alle 8.30 il primo gruppo terapeutico al quale partecipano tutti. Poi ognuno si reca alle mansioni che gli sono state assegnate o partecipa ai vari gruppi terapeutici”.

Che tipo di attività viene svolta?

“C’è il gruppo sentimento, quello per l’art therapy e poi quelli dove si insegna il rispetto per le regole, per gli altri e l’igiene personale. Ci sono poi i gruppi rabbia e senso di colpa, un’esperienza individuale che ogni utente fa con uno o più operatori dove si sfogano tutte le frustrazioni e dove si cerca di comprendere come un comportamento sbagliato si sia trasformato in tossicodipendenza. Periodicamente si tiene un incontro speciale con un familiare che lo segue nel percorso terapeutico, un  momento di chiarimento tra l’utente e i familiari dove si parla con onestà del passato. Una volta al mese si svolge poi ‘casa aperta” dove i familiari vengono ospitati nella struttura. Il percorso si chiude poi con la fase del reinserimento dove i ragazzi hanno la possibilità di ritornare in un contesto lavorativo seguiti dai nostri operatori. Per gli utenti con doppia diagnosi in particolare viene realizzato un progetto individuale in collaborazione con il Csm e i servizi sanitari”.

Quale è il momento più difficile di questo percorso?

“Sicuramente la fase di reinserimento sociale soprattutto negli ultimi anni. In passato i ragazzi riuscivano a trovare lavoro oggi a causa della crisi economica è difficile fare progetti concreti anche con i servizi di appartenenza che devono fare i conti con pochi fondi a disposizione. Questo penalizza i ragazzi e malgrado il Cast non li lasci mai soli in questa fase gli utenti hanno bisogno di trovare un lavoro per sentirsi realizzati. E se non c’è una rete all’uscita della comunità il rischio di ricaduta purtroppo è alto”.